Bene la creazione di un ministero per la transizione ecologica.
Ambiente e lavoro non devono essere in contrapposizione, ma agire sinergicamente. È questo il pensiero di Marco Falcinelli, segretario generale della Filctem-Cgil. La realizzazione di un ministero ad hoc per la transizione ecologica è un cambio di rotta significativo, sostiene Falcinelli, che deve farci recuperare il gap con gli altri paesi e avviare una serie riflessione sulla nostra politica industriale. E sulla scelta di una figura tecnica alla guida del dicastero, come il neo ministro Roberto Cingolani, spiega: “non credo che esistano ministri unicamente tecnici. In materia di energia servono competenze politiche e scientifiche”.

Falcinelli, il governo Draghi ha posto in primo piano il tema della transizione ecologica, tanto da creare un ministero ad hoc. Come giudica questa mossa?
Da un punto di vista politico, l’istituzione del ministero per la transizione ecologica è un fatto positivo. È un passo importante per colmare il gap rispetto ad altri paesi europei. Su un versante più pratico, di effettivo funzionamento di questo ministero, è ancora presto per fare delle valutazioni. Non sappiamo quale sarà l’orientamento che il neo ministro vorrà prendere.


Comunque ci sono già delle indicazioni sulle competenze che avrà il ministero, come l’assorbimento della gestione della tematica energetica di altri dicasteri, come il Mise.
Sicuramente questo è un cambio di rotta che apprezziamo. Siamo un paese trasformatore, le nostre sono aziende energivore, e il costo dell’energia è il 25% superiore rispetto ai nostri competitors. Quindi l’idea di un lavoro sinergico interministeriale, e non più oppositivo come è sempre accaduto tra ambiente e sviluppo economico, non può che farci piacere. Ma anche in questo caso si dovrà poi stimare il tutto all’atto pratico.


Il neo ministro, Roberto Cingolani, rientra nella categoria dei tecnici. Avreste preferito un profilo diverso?
La politica energetica di un paese, e quindi anche quella industriale, richiede scelte politiche. È pur vero che dietro a queste decisioni ci deve essere una solida base scientifica e competenze per saper leggere nel merito le carte. Se il ministro Cingolani, oltre all’anima tecnica, saprà tenere insieme anche quella politica ben venga. Francamente non credo che ci possano essere dei ministri unicamente e squisitamente tecnici.


Il premier Draghi ha convocato le parti sociali durante le consultazioni. Un fatto del tutto nuovo.
Si, che è stato estremamente apprezzato. Come categoria auspichiamo un confronto con i ministeri competenti che, con il precedente governo, non c’è mai stato. La fiducia e la stima nella figura di Draghi è altissima. Il lavoro fatto in Europa, quando era presidente della Bce, è stato preziosissimo. L’auspicio di tutti è che traghetti l’Italia fuori da una crisi economica e sanitaria senza precedenti.


Quello della transizione ecologica è un capitolo importante all’interno del Recovery Plan. Da quali bisogna partire per affrontare seriamente il discorso?
Quando parliamo di transizione energetica non possiamo non tener conto delle caratteristiche infrastrutturali e tecnologiche del nostro paese. Non possiamo pensare di spegnere di punto in bianco tutte le centrali che producono energia e riconvertile alle fonti rinnovabili, che non sono costanti. Bisogna affrontare il problema dello stoccaggio dell’energia, e anche l’uso dell’idrogeno prodotto in modo verde non è esente da criticità. L’impiego del gas, pur essendo di origine fossile, potrebbe essere un valido strumento per gestire l’abbandono del carbone. Ma la produzione energetica di alcune regioni, come la Sardegna, si basa prevalentemente sul carbone, e la disponibilità del gas è veramente limitata. Dobbiamo infatti ricordarci che l’Italia non è autosufficiente sul lato delle materie prime.


Lo scorso novembre avete presentato, con Cisl e Uil, un documento unitario, nel quale avete chiesto una transizione ecologica sostenibile per l’ambiente ma anche per il lavoro.
Abbiamo sempre sostenuto l’agenda europea sulla riduzione delle emissioni. Siamo convinti che questo sia il futuro. Ma abbiamo anche affermato che la transizione ecologica debba tenere insieme ambiente e lavoro. La nostra debolezza più grande è la mancanza di una vera politica industriale. Salute e lavoro non devono escludersi a vicenda.


Tristemente emblematica è la vicenda dell’ex Ilva.
Infatti.


Venendo alla parte delle risorse delle Recovery Plan riservate alla transizione ecologica, come andrebbero spese?
Le risorse del Pnrr dovrebbero aiutare le imprese nel passaggio alle fonti rinnovabili. Siamo consapevoli che si tratta di denari pubblici. Ma se lo stato ritiene quello dell’energia un settore strategico, allora dovrebbe, con maggior forza, sostenere le aziende. C’è poi il ruolo dei sindacati e della contrattazione che non è secondario. Oltre alla tutela dell’ambiente, come dicevo, deve esserci anche quella del lavoro, attraverso il salario e la formazione, per creare le nuove professionalità.

di Tommaso Nutarelli (il Diario del Lavoro, 18 febbraio 2021)

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